Holden Reborn


Turin, Italy

«I ritratti dobbiamo farli con la sedia Holden» mi diceva Giovanna Solimando mentre discutevamo degli impegni fotografici dell’anno.
«Con la sedia?». «Sì, con la sedia!».
Il progetto nasce dunque con la sedia: ritrarre chiunque abbia partecipato alla realizzazione della Grande Scuola.
I progettisti, i muratori, i decoratori,
gli impiantisti ed altri, le contabili, gli autori,
gli amici e giù di lì.
Con la sedia.
La sedia delle foto è quella della scuola. Arriva dalla vecchia sede di corso Dante. Quasi un’ambasciatrice nella nuova Holden di piazza Borgo Dora.
Il primo scatto è sui ruderi dell’ottocentesca fabbrica di armi. Un ex opificio militare.
Un disastro! Tutto rotto, non un vetro o un pavimento: il mondo sembra crollarci addosso. Quasi un’inferno. La stagione è brutta e si caratterizza per il freddo, la poca luce, la neve, il gelo, i falò che gli operai accendevano qua e là per scaldarsi in pausa caffè. I lavori procedono.
Il battuto di cemento, il tetto e sottotetto, gli intonaci e le porte.

La nostra sedia diventa una testimone unica, ovunque, talvolta pure ingombrante.
Finalmente il calore torna a farsi sentire e i fasci di luce filtrano tra i vecchi muri. Una vita nuova.
Il lavoro procede con celerità: mentre tornano al loro posto le finestre compaiono i primi campioni di colore e si lucidano i pavimenti in marmo.
La sedia segue l’avanzare del cantiere. Ormai le macchie di vernice ocra appartengono allo schienale, i residui di cemento a presa rapida mimetizzano la seduta.
Insomma: con l’avanzamento dei lavori, il simbolo della vecchia scuola subisce un processo inverso: mentre l’ex opificio si trasforma in «Holden», la sedia diventa inutilizzabile, piena di macchie, coperta di vernice, cemento, polvere e fango, danneggiata e sfregiata qua e là.
Non è più una sedia! È alla fine del suo pellegrinaggio. Ora è un’altra cosa. È diventata un’icona. Una reliquia, o giù di lì.






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